Due secoli fa a portare alla morte violenta poteva essere ancora l’onore, poiché in Italia venne derubricato dal Codice penale solo il 5 agosto del 1981. Oggi l’onore si richiama ai cittadini eletti dal popolo, rappresentanti dei partiti che chiamiamo e si chiamano tra loro “onorevoli”.

Dal Medioevo alla Rivoluzione francese la giustizia era amministrata dai tre ordini che governavano la società nata con il feudalesimo (Laboratores, Orantes, Bellatores: il popolo, il clero e la nobiltà) ognuno all’interno degli ordini stessi. L’offesa – come ci ha spiegato Michel Foucault – riguardava il corpo del potere o del sovrano; la pena o contrappasso veniva esercitata sul corpo stesso di chi aveva commesso il reato: il taglio della testa, lo squartamento, il rogo o l’impiccagione erano i modi più comuni adottati da sovrani e stati.

Facciamo ancora un passo indietro: nella società antica il duello designava il “Giudizio degli Dei o di Dio” e li si invocava per stabilire la parte della ragione o del torto. L’ordalia, diffusa negli stati romano barbarici, non cessò con la nascita dell’Europa e il duello entrò nei codici del diritto di mezza Europa – da Carlo Magno a Federico II, dai Papi fino a Luigi XIV – codificandosi nel codice cavalleresco. All’inizio dell’Ottocento Napoleone proibì il duello tra gli ufficiali del suo esercito anche se dello stesso grado – se minore, reggeva ancora la tradizione dei tre ordini separati, rimase nel codice militare però un doppio legame giuridico, in seguito chiamato “Comma 22”: “Chi duella va espulso dall’esercito, ma chi viene sfidato e si rifiuta di battersi, va cacciato per codardia e vigliaccheria, macchiandosi del disonore della bandiera che serve”. L’offesa può essere lavata col primo sangue o all’ultimo sangue, cioè a morte, l’offeso sceglie l’arma e il luogo, queste le regole.

Nel 1784 il politico irlandese Richard Martin, noto come “Umanità”, vinse il suo centesimo e ultimo duello. Smise di combattere dopo la morte del cugino, anche lui appassionato di questa pratica. Nel 1820, in Russia, il celebre scrittore Fëdor Ivanovic Tolstoj inanellò una formidabile serie di undici scontri vinti, tutti contro abili ufficiali dell’esercito. Sempre in Russia, tra il 1907 e il 1909 ci fu una sorprendente sequela di duelli tra parlamentari della Duma, il più famoso tra il conte Uvarov e Alexander Guckov. Nel 1845 il tenente dei Royal Marines Henry Hawkey sfidò e uccise il capitano James Seton dell’esercito britannico. Questo fu l’ultimo duello mortale registrato in Inghilterra. In Francia c’è da ricordare lo scontro del 1897 tra Marcel Proust e il giornalista Jean Lorrain. Lo scrittore sfidò Lorrain per una recensione negativa e maliziosa. Il duello si risolse con un nulla di fatto (due colpi a vuoto), quindi i secondi decisero che l’onore era comunque soddisfatto.

Con la diffusione delle armi da fuoco, il proiettile cominciò a fare vittime anche quando veniva richiesta soddisfazione – tramite un duello – anche quando l’onore si estendeva a una presunta offesa rivolta a una donna, fosse nobile, moglie o amante o semplicemente una ballerina o una cantante corteggiata da un “galantuomo”, ufficiale o meno. Il 30 maggio 1832 il geniale matematico francese Évariste Galois, acceso militante repubblicano e non ancora ventunenne, fu ferito mortalmente in un duello che sapeva di perdere, e morì il giorno successivo. Di quel celebre duello si è scritto molto, soprattutto sulle cause (questioni di cuore, ma si è parlato anche di una trappola tesa dalla polizia per sbarazzarsi di un estremista repubblicano, o di un suicidio mascherato nella speranza di provocare un’insurrezione). Poco invece si è scritto sull’avversario, del quale persino le generalità sono rimaste a lungo incerte. Sull’argomento sono nate due scuole, che identificano l’omicida in un certo Pescheux d’Herbinville oppure in un enigmatico L. D. La prima identità è fornita da Alexandre Dumas in una pagina delle sue Memorie: “Évariste Galois […] fu […] ucciso in duello da Pescheux d’Herbinville, […] affascinante giovane che faceva delle cartucce in carta di seta, legate con dei nastri rosa”. Artigliere della Guardia Nazionale di 22 anni, è accusato con diciotto altri militanti repubblicani, tra i quali Jules Sambuc, studente di diritto, e il medico Ulysse Trélat, presidente della Società degli amici del popolo, di complotto contro lo stato e di incitamento alla guerra civile. Nel corso del dibattito, egli ricorda la sua partecipazione alle “Tre Gloriose”, la rivoluzione delle giornate del 27, 28 e 29 luglio 1830 che ha deposto Carlo X e insediato Luigi Filippo. Si tratta di un “combattente di Luglio”, ferito durante la presa del Louvre, che ha assaltato qualche posto di guardia per procurare armi al popolo. È lui a sfidare Galois e a ucciderlo con un colpo di pistola, anche se la ragione del conflitto è offuscata da trame politiche complottiste.

Felice Cavallotti – il fiorentino deputato radicale e socialista, ex garibaldino, chi ai funerali di papa Pio IX aveva cercato di impossessarsi del feretro per gettarlo nel Tevere –, muore a 56 anni nel 1898 in un duello alla spada. Ne aveva fatti ben 33 prima che la lama del giornalista e deputato conservatore Ferruccio Macola (teorizzava, dopo la fallimentare impresa Crispina in Africa, l’occupazione dell’America Latina) gli trafigge la gola e la carotide. Se la cava con una condanna a tredici mesi di carcere: la legge proibisce i duelli, di fatto li tollera e punisce gli omicidi con l’attenuante dell’onore. Così i duelli fra militari, tra il 1888 e il 1917 saranno ben 2.759.

Nella Roma papalina il boia Giambattista Bugatti – per tutti Mastro Titta – con 516 esecuzioni è certamente il più noto ma  tra il popolo esistono i bulli che esercitano “l’abbottata” (la vittima costretta a gonfiare le gote) a suon di schiaffoni in faccia, roba da poco se si contano dal 1890 al 1896, 2.354 duelli alla sciabola, ma soprattutto con la “molletta”, un coltello a serramanico con lama di 25 centimetri: dal 1890 al 1896 almeno mille ferimenti e un centinaio di vittime, dal 1890 al 1940 oltre 600 vittime tra i popolani.

Il primo gennaio del 1890 entrò in vigore il codice Zanardelli che derubricava la pena di morte (ma restava nel codice militare in tempo di guerra, abolita dopo la Costituzione del 1948, solo il 14 ottobre del 1994) e la grande falce nera scelse il fucile per l’esecuzione. Perché la fuggevole Belle Époque fu breve, la Grande Guerra provocò la morte di 651.000 militari e 589.000 civili italiani dai campi di battaglia alle retrovie. I dati emessi dal Ministero della guerra nel 1927 riportano che tra il 1815 e 1918 i tribunali militari rinviarono a giudizio 262.481soldati, 170.000 le condanne. A morte, in prevalenza in contumacia, 3.000 perché prigionieri del nemico o proclamati disertori. Il 75% dei prigionieri austriaci o tedeschi, circa 1061, 750 furono fucilati a cui si aggiungono altri 300 esecuzioni sommarie registrate ufficialmente. Ma sul fronte fu ancora peggio, Cadorna fu forse l’unico a proclamare la “decimazione” nei riguardi delle proprie truppe (qualche caso sul fronte francese) ovvero l’estrazione a sorte di un numero di soldati per il contingente che si era rifiutato di combattere o di obbedire all’assalto – ma anche nel caso l’assalto fosse andato male e si fossero macchiati di “codardia” –, per spingere la prima linea all’assalto, era in uso dalle retrovie lanciare l’ultima serie di cannonate a pochi metri dalla propria trincea: era il momento di saltare fuori. Esemplare il comportamento del generale Andrea Graziani, nel 1916 un reparto mandato all’assalto venne falciato dalle mitragliatrici austriache, ritornarono solo in quattro, condotti sotto un castagno gli venne intimato di scavare una fossa, poi legati insieme ai bordi della buco lo stesso generale li fucilò. Un’altra volta, due alpini cantavano invocando la pioggia, l’ufficiale lo interpretò come un rifiuto di andare all’attacco e ne ordinò la fucilazione che solo per un caso non venne eseguita. Va invece peggio al soldato Pietro Scribanti, che sull’attenti tiene un sigaro in bocca, viene messo ai ferri e fatto fucilare; dopo la ritirata di Caporetto per “decimazione” in 57 finiscono al muro nel novembre del 1917, ordinato dallo stesso generale.

La “Nera mietitrice” è quella che non lascia scampo al coraggio, all’onore o alla vigliaccheria perché invisibile, si mostra già nel 1915 con i gas al fosgene e all’Yprite – sebbene fossero vietati dalla convenzione dell’Aja del 1899, ribadita poi dalla convenzione di Ginevra del 1925 –, il 29 giugno del 1916 sul Monte del San Michele la provarono i fanti italiani: 2.500 morti e migliaia di intossicati. La restituirono agli austriaci sull’Isonzo nel 1917 e sull’ultima battaglia del Piave nel giugno del 1918, senza consumare tutte le 13.000 tonnellate di gas che avevano nel frattempo prodotti. Produzione che aumentò visto che nel 1935 aggredendo l’Etiopia, l’esercito al comando di Rodolfo Graziani ne impiegò ben 270 tonnellate, come se non bastasse anche 1000 tonnellate di bombe caricate a iprite per l’aeronautica e 60.000 bombe per l’artiglieria caricate con l’arsina, l’idruro di arsenico.

Il codice d’onore nella società civile, a partire dalla seconda metà dell’800, viene fatto proprio, insieme al rispetto che vieta il tradimento agli affiliati, nelle aree del Sud del Paese dalle organizzazioni criminali denominate Mano nera o Camorra, Sacra Corona Unita, Cosa Nostra o Mafia e Ndrangheta. Una gerarchia di famiglie o cosche che controllano il territorio con gli “uomini d’onore”. Il primo processo ai camorristi avvenne tra il 1911 el 1912 quando furono emesse condanne per 400 anni; era stato il pentito Abbatemaggio a indicare molti capi, ma nel 1927, diventato squadrista e amico di Amerigo Dumini (che sarà l’assassino di Matteotti), ritratta le accuse affermando che gli erano state estorte: tutti saranno scarcerati senza alcun clamore, c’è già uno Stato nello Stato.

L’ultima fucilazione viene eseguita a La Spezia il 5 marzo 1947 nei riguardi di tre ex ufficiali della Repubblica Sociale, responsabili di omicidi e collaborazionismo con le SS naziste, già condannati a morte nel maggio del 1946 dalla Corte d’Assise locale, poco prima che Costituzione, approvata il 27 dicembre del 1947, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, abolisse la pena di morte per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di pace.

A servire lo stato con dignità e onore dovrebbero essere oggi i deputati e senatori della Repubblica, con a caso chiamati onorevoli… ma anche l’onore sembra sparito nei fatti e nelle parole… parola d’onore!

 

Filmografia essenziale

Mezzogiorno di fuoco (1952) di Fred Zinnemann;

Processo alla città (1952) di Luigi Zampa;

Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick;

La sfida (1958) di Francesco Rosi;

La grande guerra (1959) di Mario Monicelli;

L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) di John Ford;

Una questione di onore (1965) di Luigi Zampa;

La collina del disonore (1965) di Sidney Lumet;

Il buono, il brutto, il cattivo (1966) di Sergio Leone;

Nell’anno del signore (1969) di Gigi Magni;

Uomini contro (1970) di Francesco Rosi;

Comma 22 (1970) di Mike Nichols;

Er più – storia di amore di coltello (1971) di Sergio Corbucci;

Duel (1971) di Steven Spielberg;

Barry Lyndon (1975) di Stanley Kubrick;

I duellanti (1977) di Ridley Scott;

Codice d’onore (1992) di Rob Reiner;

Il miglio verde (1999) di Frank Darabont;

Regole d’onore (2000) di William Friedkin;

Fucilateli (2019) di Manuel Zerpellon, Giorgia Lorenzato.


https://www.asterios.it/catalogo/comandiamo-noi