La terra della libertà: gli esuli dell’800

Dopo il congresso di Vienna, molti aderenti alla carboneria, repubblicani e mazziniani sbarcarono sulle coste dell’Atlantico (erano liguri, toscani, piemontesi). Nel 1860 gli italiani erano 11.677, Pietro Maroncelli, dopo il carcere dello Spielberg, morì a New York, Garibaldi rifugiato dall’inventore Antonio Meucci prima di scendere in Sud America, Federico Confalonieri, Pietro Borsieri, Lorenzo Da Ponte, librettista di Mozart (insegnò alla Columbia), Luigi Monti e Pietro Bachi, diventarono entrambi docenti ad Harvard, Tullio Suzzara Verdi (autore di Vita Americana), i pittori e scultori che decoreranno il Campidoglio di Washington (Pietro Bonanni, Luigi Persico, Giuseppe Franzoni, Giuseppe Valaperta, Costantino Brumidi, Enrico Causici, Giovanni Andrei); il fotografo napoletano Carlo Gentile finirà dopo aver documentato le tribù indiane, nel circo di Buffalo Bill ecc. Esuli e avventurieri alla ricerca dell’oro (3.000 in California, come Felice Pedroni di Fanano sull’appennino modenese che lo trova in Alaska e fonda quella che oggi è la seconda città dello stato: Fairbanks). Addirittura, troviamo italiani che si arruolarono tra le file dei sudisti (erano in prevalenza prigionieri borbonici catturati dai piemontesi) e altri tra i nordisti (picciotti ex garibaldini ricercati per brigantaggio) durante la Civil War (Guerra di secessione 1961-1865) e addirittura alcuni finirono nel 7° cavalleggeri, tanto che il trombettiere italiano Giovanni Martini, fu uno dei pochi che si salvò a Little Big Horne, il generale Custer no.

La terra dell’abbondanza per vincere la fame

La circolare Menabrea del 1868 ordina ai prefetti di impedire l’emigrazione a chi non può dimostrare di avere un contratto di lavoro e il denaro necessario per la propria sussistenza; nel 1873 quella di Lanza aggiunge l’obbligo del passaporto e del denaro sufficiente per il rientro, ma nel 1876 il ministro Nicotera abroga le precedenti circolari per evitare l’emigrazione clandestina, semplificando le procedure per il passaporto invitando i prefetti a reprimere abusi e frodi. In governo inizia a considerare l’emigrazione un “affare” per risolvere tensioni sociali e povertà, considerate che le rimesse in valuta fanno comodo all’economia nazionale. Nel 1888 Crispi vara una legge che prevede la libertà di espatriare introducendo norme e tutele per chi vuole farlo. Nel 1901 nasce una legge per l’emigrazione, prevede la soppressione degli agenti e dei reclutatori, le compagnie di navigazione sono obbligate di fronte a un respingimento ad assicurare il viaggio di ritorno, sottoposte al controllo del neonato Commissariato generale dell’emigrazione, alle dipendenze del ministero degli esteri, che rimarrà in vigore e fino al 1927.

Tra il 1880 e il 1915 sbarcano 4 milioni di italiani. Nel primo periodo, fino al 1900 la maggior parte arriva dal Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna e Liguria, nel quindicennio successivo dalle regioni meridionali, in particolare dopo i Fasci siciliani (1893-1894) irrompe l’emigrazione siciliana, c’è un collegamento da Palermo e New Orleans ( dove i controlli sono meno severi che a Ellis Island), il terremoto di Messina del 1908 spinge 80.000 calabresi ad attraversare l’Oceano, ancora significativi i tassi di respingimento e rimpatri. Erano braccianti, piccoli proprietari di qualcosa che si vendevano tutto ciò che avevano per il costo del biglietto. In seguito, le navi furono più numerose, i costi di imbarco si abbassarono, le richieste di manodopera erano sempre ampie ma soprattutto si diffondeva il mito dell’America, la terra della fortuna. Dal 1870 le città portuali hanno agenzie specializzate per alimentare la propaganda: le genovesi Colajanni, Laurens, Gondrand, le napoletane Ciamberini, Raggio, Rocco Piaggio, dispongono di 18.000 agenti che inondano i villaggi di affissi, manifesti, false lettere ecc. Nel 1901 una legge assegna il compito alle sole compagnie di navigazione per interrompere imbonitori e falsi intermediari, truffatori ingannevoli (solo a Napoli da 5.000 nel 1892, diventano 13.000 nel 1911). Le compagnie di navigazione pubblicano opuscoli e guide (la Guida dell’emigrante (1903) pubblicata dalla Navigazione Generale italiana, la Guida dell’emigrante negli Stati Uniti d’America, pubblicata a Napoli, Guida pratica per l’italiano dell’America del nord, Il tesoro dell’emigrante ecc. Tutte ad alimentare il mito, quanto le canzoni “Mamma dammi cento lire che in America voglio andar”, Partono i bastimenti ecc. L’inchiesta promossa dal presidente del Consiglio Giolitti tra il 1906 e il 1911 attesta che la condizione dei contadini meridionali era migliorata per le rimesse degli emigranti.


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Il giro del mondo dell’emigrazione italiana,

in oltre 250 film, dagli anni Ottanta dell’Ottocento fino ad oggi.


La partenza, il viaggio, l’approdo

Da Genova partono il 61% (una media di 74.000 all’anno), ma Napoli avrà il primato (210.000 all’anno), oltre ai porti di Palermo, Messina, o Trieste. Per evitare di passare da Ellis Island, altra meta nel porto di Halifax in Canada, per poi arrivare negli USA in treno o con mezzi di fortuna. Prima della partenza occorreva affrontare i truffatori che li aspettavano in attesa dell’imbarco: cercavano di vendere “ abiti americani”, cibo per il viaggio, tonici per prevenire contagi o malattie per superare l’esame medico preventivo prima dell’imbarco, il vademecum dell’emigrante, l’offerta di ospitalità in luride locande pagate a peso d’oro, falsi biglietti di viaggio, ecc. Il bagaglio non poteva superare il mezzo metro cubo in terza classe, quella degli emigranti.

Il viaggio dura da tre settimane a 20 giorni a seconda dei piroscafi, divisi tra maschi e femmine, un boccaporto per 150 posti letto e una latrina ogni 80 passeggeri. Il vitto una brodaglia con qualche fagiolo o cece e un pezzo di pane di segale, mentre sulle tabelle dei piroscafi veniva reclamizzato “pane fresco, carne fresca con piselli e fagioli, pasta, tonno e formaggio, caffè, e mezzo litro di vino al giorno”. Era facile sviluppare a bordo: vaiolo, varicella, morbillo, polmonite e dissenteria. Nel 1905 è stato calcolato durante il viaggio, una mortalità, negli individui più fragili di oltre il 40%, in particolare nei bambini sotto i 5 anni in grado di raggiungere il 75%.

Fino al 1892 lo sbarco a New York è Castel Garden, un forte militare. Dal 1885 negli USA c’è una legge The Act tro Regulate The Immigration, a vietare l’ingresso a pazzi, condannati, ammalati, idioti e indigenti in età superiore ai 45 anni. Nel 1892 nasce Ellis Island, estesa 10 ettari con 36 edifici (costruiti con i materiali di scavo della metropolitana) dove lavorano 500 addetti. Occorre fermarsi per 40 giorni, versare 4 dollari di tasse e superare una accurata visita medica. Il medico faceva un segno sulla schiena col gesso: B= mal di schiena, TB= tubercolosi, C= congiuntivite, E= malattie agli occhi, FT= problemi ai piedi, G= gozzo, N= problemi al collo, P= Polmoni, PG= gravidanza, S= senilità, SG= problemi ai cuoio capelluto, X= problemi mentali. Avere un segno, significava essere il rischio del respingimento a seconda della gravità. Poi passava al Registry Room, con l’aiuto di un interprete, sottoporsi a un batteria di 17 domande (dal chi sei, a chi ha pagato il passaggio, a cosa ti aspetti ecc.). Il vitto durante la permanenza prevedeva: pane di segale e prugne, mattina, mezzogiorno e sera. In seguito, anche del salame americano. Dal 1909 diventa obbligatorio avere un biglietto ferroviario per la destinazione e 25 dollari in tasca, nel 1917 è prevista anche una prova di analfabetismo.

In 62 anni a Ellis Island sono transitati in 12 milioni, con il picco nel 1907 di 1 milione, in quel luogo vi nascono 355 bambini e vi muoiono in 3.500.

Ecco l’America del lavoro

Carpentieri, contadini nel Midwest, o minatori. La maggior parte preferisce restare nelle grandi città, arrangiandosi in vari modi, uno dei più frequenti era il commercio ambulante: acquisire frutta e verdura ai magazzini generali e venderla con un carretto lungo le strade, così anche per la pasta, i ragazzini mendicare suonando qualche strumento, poi camerieri e cuochi fino ad aprire bar e negozietti con beni alimentari d’importazione ad uso dei propri connazionali. Numerosissime sono le panetterie (1500 a New York nel 1906) di pane bianco, dopo averlo mangiato solo nero o legumi macinati. La pasta è un ottimo business, diventando identitaria (in Italia se ne consumava assi poco prima, come la carne ora a disposizione in grande quantità) nel 1929 ci sono 359 stabilimenti dove lavorano in buona parte gli italiani, il vino, il parmigiano, i dolci, i gelati, i salumi, iniziano a essere apprezzati e acquistati dagli americani. Per l’importazione nascono numerose Camere di Commercio italiane con contatti diretti con la madrepatria. Le donne si dedicano oltre alla produzione di past, prevalentemente al lavaggio del bucato, alla confezione di fiori di carta, alla sartoria di cappelli e guanti o a impacchettare prodotti. Non mancano, girovaghi, prostitute, bande di ragazzi chiamati “rospi di strada”, specializzati in piccoli furti. Moltissimi gli incidenti sul lavoro, in particolare nelle miniere. Gli italiani si disperdono in molti stati, nascono città col nome italiano come Rome in Georgia, Naples in Florida, Palermo in North Dakota, Siracuse nello stato di New York, Roseto in Pennsylvania, Garibaldi in Oregon, Ancona in Illinois, Venice in California, Milan in Ohio, Verona in New jersey, Genoa in Colorado.

Quartieri, etnie e razzismo

Si vive in colonie che si dispongono nei quartieri più poveri delle città, in prevalenza regionali, l’Italia è un’entità astratta rispetto al dialetto, alle tradizioni religiose alle feste patronali, anche con rivalità e con aspri conflitti. Napoletani con napoletani, siciliani con siciliani, lombardi con lombardi, veneti tra veneti. Un giornalista americano scrive che “dall’odore dell’aglio e della cipolla, mangiate come fossero mele” si riconoscono le abitazioni degli italiani. Si sposano fra loro chiamando ragazze del paese di provenienza, si combinano matrimoni, evitando con cura le altre etnie di emigranti. Nel 1909 nei quartieri operano già più di “banchisti”, un soggetto che fa da cambiavalute, vende francobolli, scrive lettere agli analfabeti, l’interprete, il depositario di denari, l’usura, l’arruolatore di manodopera, il notaio, l’importatore di generi alimentari. In contatto con il Banco di Napoli, a cui lo Stato italiano ha affidato le rimesse, entrano nel primo decennio del Novecento in media 44 milioni l’anno, diventeranno 3 miliardi nel 1919, 5 miliardi fino agli anni Venti. Considerati una razza inferiore “negroide” per gli americani, quando li incrociano si voltano dall’altra parte con segno di disgusto, raffigurati dalla stampa e dal cinema come bassi, scuri di pelle, capelli crespi, perdigiorno, grandi mangiatori e bevitori, sporchi, rumorosi, puzzolenti d’aglio, gelosi, violenti, facili al coltello e al delitto. Finiscono nel mirino anche del Ku Klux Klan, (oltre a negri, ebrei, polacchi, irlandesi, in difesa dei veri valori americani, cioè dei wasps) “perché distruggono il mercato del lavoro e il flusso degli indesiderabili va fermato…” e i linciaggi non si fanno attendere: 3.220 tra il 1880 al 1930. I meridionali finiscono per essere associati a tutti gli italiani, miserabili e delinquenti, dei gangster o dei mafiosi, quando vi sarà proibizionismo degli alcolici dal 1920 si getteranno nella produzione e distribuzione dell’alcool, trampolino di lancio per le associazioni criminali che si getteranno nel gioco d’azzardo, nei casinò e nelle scommesse sportive.

Il problema delle due patrie (100.000 italiani ritorneranno per combattere nelle trincee) quando scoppierà la Grande Guerra e in seguito, la partecipazione, la fortuna del fascismo negli Stati Uniti, prima della Seconda guerra mondiale, viene ben raccontato con dovizia e ampia documentazione nel volume di Mario Avagliano, Marco Palmieri, Italiani d’America, Il Mulino, 2024.