Chi è il pazzo? Su “Figure di pazzi” al Louvre

“Figure della follia – Dal Medioevo ai Romantici”, al Louvre dal 16 ottobre 2024 al 3 febbraio 2025

A margine, il ‘pazzo’ incarna una figura eccezionale: colui che giudica la ragione umana, rivelandone i vuoti e le vanità. La mostra a lui dedicata al Louvre rivela, attraverso una serie di capolavori pittorici e di piccoli oggetti sorprendenti, la lenta costruzione di questo motivo, specchio critico di una saggezza che deve misurarsi con se stessa.

Da quasi due secoli fa, Auguste de Forbin, uno di quegli aristocratici modernizzatori tipici della Restaurazione, di fronte all’obbligo di restituire migliaia di opere d’arte accumulate da Napoleone al Louvre, decise di trasformare il museo in uno strumento scientifico ed educativo senza precedenti: Voleva che i visitatori non venissero solo per ammirare i bei resti dei vinti, ma per imparare, persino per essere formati, e per riflettere non solo sull’arte, ma sulla sua storia e sul suo significato più generale, in un ambiente che era, di fatto, una delle premesse delle ‘scienze morali’ in fieri.

Nella rinnovata Hall Napoléon, abbiamo il piacere di vedere un progetto fedele a questa ispirazione. Tuttavia, c’è un punto che deve essere chiarito subito: non potrà trarre il massimo beneficio da questa mostra se non dopo aver fatto una deviazione verso il negozio, dove il catalogo è un accessorio essenziale se si vuole cogliere appieno la sua portata. Le etichette, infatti, forniscono solo indicazioni succinte non solo su quali sono gli oggetti e i dipinti esposti, ma anche su cosa vedere. Sono, nella loro sequenza cronologica, i collegamenti di un’argomentazione piuttosto lunga che offre davvero spunti di riflessione.

In ogni caso, il passeggero puro avrà molto da ammirare. Si tratta di una miriade di piccoli oggetti con dettagli sorprendenti, figure incise su supporti piuttosto sorprendenti (soprattutto religiosi), e quasi tutti hanno conservato per noi il carattere ‘stravagante’ che probabilmente era destinato ad eccitare gli occhi e le domande dei primi spettatori. Chi, ad esempio, avrebbe potuto spendere la somma fenomenale che deve essere costata l’incredibile ‘vanità’ d’avorio, datata 1520, raffigurante una donna da un lato e uno scheletro dall’altro? Perché mai, come regalo principesco a Enrico VIII d’Inghilterra, fu realizzato questo improbabile elmo di armatura con occhiali dorati (l’accessorio paradigmatico del ‘pazzo’), al quale, a quanto pare, furono aggiunte in seguito due corna ritorte? Ma ci sono anche alcuni capolavori pittorici estremamente famosi, in particolare i ‘nefs des fous’, che costituiscono il punto focale di tutti i manufatti qui riuniti.

Quindi, che cos’è? Forse colui che giudica il giudice e che, se non vuole essere un fermento di dissoluzione di tutta la vita collettiva, deve soprattutto rimanere ai margini, nonostante questa funzione suprema.

Plasticamente, siamo colpiti dal fatto che le rappresentazioni visive del ‘folle’ sono immagini contrarie, che connotano sia il gonfiore che il vuoto, che offrono alla saggezza umana uno ‘specchio’ della sua follia e che istituiscono il folle, nella sua stessa marginalità, come giudice supremo delle sue pretese. Ma a differenza delle immagini chimeriche tanto care a Carlo Severi, che tendono a stabilire un rapporto paradossale con un ‘altro mondo’ invisibile che irrompe nel nostro, qui non c’è trascendenza. Queste immagini contrarie sono immanenti nella vita umana, nei suoi conflitti morali e sociali, e cristallizzano un intero sistema di inversioni che non hanno nulla a che fare con il soprannaturale. Con rare eccezioni, il pazzo non è mai demoniaco.

Che cos’è, allora? Forse colui che giudica il giudice e che, naturalmente, per non essere un fermento di dissoluzione di tutta la vita collettiva (non tutti possono giudicare il giudice!), deve soprattutto rimanere ai margini, un individuo eccezionale, anche se è investito di questa funzione suprema. Suprema e indispensabile: se la saggezza umana ha un senso, deve essere in grado, di riflesso, di giudicare se stessa e quindi, a volte, di giudicare la propria saggezza come ‘pazza’ (cioè ‘vuota’, vana e vuota), in modo da mantenere la misura veramente umana che le è propria.

L’esposizione ci dice molto bene come questo motivo si costruisce gradualmente, su basi comunque distinte, che non cesseranno di esercitare la loro influenza sulle metamorfosi del folle. Infatti, “all’inizio”, il folle (inspiens) è colui che non crede in Dio. Si tratta di una tensione notevole, perché, come ci ricorda Cristo stesso, il credere, la fede stessa, è “follia” agli occhi del mondo. Proprio per questo motivo, diversi ordini religiosi, fino ai Fratelli della Carità all’inizio del XIX secolo, accolsero i malati di mente, che dovevano essere distinti dai pazzi, almeno perché questi ultimi sembravano avere una funzione sociale critica, e dovevano essere accettati come tali.


https://www.asterios.it/catalogo/la-follia-di-dio-e-la-sapienza-delluomo


Dalla “navata dei folli”, un’immagine introdotta da Sebastian Brant nel 1494 con un successo favoloso (solo la Bibbia avrebbe venduto di più!), che denuncia le follie dell’epoca come un moralista piuttosto convenzionale, all’Elogio della follia di Erasmo, avviene una svolta affascinante. Erasmo sembra dare una svolta decisamente moderna alla figura del “giudice giudicato”, del saggio pazzo che si crede saggio e del pazzo saggio che si riconosce pazzo. Sotto la sua penna, potremmo dire, il pazzo diventa ciò che Deleuze ha definito un “personaggio concettuale”, piuttosto che una figura personale e incarnata. È Erasmo, naturalmente, che ride e dà motivo di ridere di tutta la saggezza, compreso se stesso come saggio, ma anche, in un rovesciamento senza precedenti, di tutti, dotato del potere e soprattutto del diritto di “giudicare i giudici”. È stata una scelta azzardata. Infatti, se Erasmo è un emancipatore ironico, fu ai fini di un quasi-esorcismo, allo stesso tempo religioso, sociale e politico, che il francescano Thomas Murner, autore de L’evocazione dei folli nel 1512, lesse Brant – il pazzo per eccellenza era Lutero!

Il triangolo Brant-Murner-Erasmus getta nuova luce sui famosi dipinti di Bosch e Brueghel e sulle illustrazioni di Dürer per La nave dei folli di Brant, che sono la pièce de résistance della mostra. Sono la pièce de résistance della mostra, perché possono aiutare a spiegare perché la rappresentazione visiva del folle entrò improvvisamente in una stupefacente eclissi a cavallo del 1550. Con la Controriforma, seguita dall’assolutismo, tutte le espressioni materiali collettive dell’inversione delle gerarchie e delle dignità si spensero gradualmente. Le ‘allegre compagnie’, tra cui la famosa ‘fanteria di Digione’, ma anche, nel giorno della festa della Circoncisione di Cristo, l’elezione del ‘Papa degli sciocchi’ e il suo incredibile rituale, tutto questo doveva scomparire.

La mostra e l’analisi scientifica del catalogo lo confermano. Ma ci ricordano anche un altro ‘elogio della follia’, quello di Pascal. Un elogio altamente autocritico, inoltre, perché lo pseudonimo dell’autore dei suoi pensieri era Salomon de Tultie, che tutti i latinisti ovviamente paragonavano sia alla stultitia, stoltezza o follia, sia al Salomon della Sapienza, fornito dalla tradizione del suo pazzo, Arnulphe, che invertiva le frasi con grande profondità. Ma questa ‘follia’, alla Pascal, è talmente spiritualizzata, psicologizzata, interiorizzata — e soprattutto personalizzata come chiave del giudizio critico di ogni persona sulla propria implacabile finitudine e peccaminosità — che non ha più un’immagine incarnata, né tantomeno un rituale collettivo che la sostenga pubblicamente. E così chiudiamo il cerchio: la vera follia è, come all’inizio, la fede del cristiano.

Il libertino che si crede saggio è più pazzo (insipiens) dei pazzi. Non criticheremo più le follie morali e sociali dell’amore, della passione o dell’orgoglio come tanti gonfiori da sgonfiare, un gesto per il quale il pazzo era l’agente eccezionale, godendo di un’immunità straordinaria nelle società ordinate del Medioevo. È come se, in breve, l’inversione-distanziazione oggettivata in immagini, costumi, oggetti di scena e rituali, fosse ribaltata nel concetto, nella riflessività morale purificata e nella nuova interiorità degli individui moderni. Ci possono essere cose da rappresentare, ma non ci sono più cose da dipingere.

Questo è anche il motivo per cui la fine della mostra, che mostra alcuni esempi impressionanti di pittura romantica della follia, lascia perplessi. Innanzitutto, ritorna al senso moderno della follia come ‘alienazione mentale’, mentre il destino del folle in questo preciso senso morboso era stato accuratamente tenuto a bada fino ad allora. Il pazzo non era il pazzo, e ora il pazzo del manicomio, il pazzo dello psichiatra, dopo due secoli di invisibilizzazione pittorica, è finalmente al centro della scena. Lo storico della psichiatria potrà forse trarre qualcosa da questo: molti tentativi emancipatori (dalla riscoperta dei ‘pazzi letterari’ in stile Queneau all’antipsichiatria italiana, ecc.) hanno cercato di trovare qualcosa di perduto sotto le nostre figure positiviste della follia-malattia mentale.

https://www.asterios.it/catalogo/basaglia-politico

Ma potrebbero trovare qualcosa di diverso dalla vecchia figura del pazzo e, di conseguenza, operazioni di inversione critica che non aprono tanto la prospettiva di un futuro liberato dai pregiudizi normativi e scientistici, quanto piuttosto la memoria dimenticata di rituali molto antichi, un passato puro proiettato sul futuro, che forse spiega tutte le impasse politiche e le illusioni epistemiche?

 

Autore: Pierre-Henri Castel è filosofo della scienza e psicoanalista, Direttore di ricerca presso il CNRS.

Fonte: AOCMedia