Il passato e il futuro non esistono
di Pantelis Golitsis
Il tempo esiste? “Il tempo non esiste, non c’è nulla”: Aristotele sembra essere il primo filosofo a mettere in dubbio l’esistenza del tempo. Il passato e il futuro non esistono (il primo non più, il secondo non ancora), mentre ciò che crediamo esista, cioè il presente, non fa parte del tempo; il tempo, spiega il filosofo greco, non è composto da momenti attuali del tempo, così come una linea non è composta da punti.
Aristotele fu infatti il primo filosofo a capire che l’associazione diretta del tempo con il passato, il presente e il futuro porta la mente umana in un vicolo cieco. Egli sosteneva che il tempo non è una quantità fisica effettiva, ma la possibilità del moto continuo in sé di essere diviso in parti e conosciuto come diviso (in giorni, mesi, anni, cicli quadriennali di Olimpiadi) dalle anime umane pensanti sia nel suo aspetto di coordinata come intervallo di tempo (il tempo è allora definito come “numero del moto”) sia nel suo aspetto continuo come durata (il tempo è allora più precisamente definito come “misura dell’essere del moto”).
Molto più tardi, il filosofo idealista britannico John Ellis McTaggart (1866-1925) ha sostenuto che “ogni volta che giudichiamo che qualcosa esiste nel tempo, ci sbagliamo”; il tempo è un’illusione della mente umana. I cambiamenti dal futuro al presente e dal presente al passato sono necessari affinché le cose siano considerate nel tempo, e qualsiasi cosa nel tempo può essere sia passata che presente o futura; crediamo che delle tre caratteristiche del tempo ogni evento possa averne solo una. Tuttavia, secondo il paradosso di McTaggart, tutto ciò che la mente umana giudica essere nel tempo le possiede tutte e tre. L’obiezione plausibile che ogni evento abbia le proprietà di futuro, presente e passato non simultaneamente, ma in sequenza, significa semplicemente, spiega McTaggart, che c’è stato un momento in cui un evento, come la lettura del presente, era futuro, un momento in cui l’evento è presente e un momento in cui l’evento sarà passato. Tuttavia, poiché anche i momenti sono temporali, questa spiegazione ci porta a una ricorsione infinita: siamo costretti a costruire infinite nuove serie temporali per svelare le tre caratteristiche del tempo.
Il paradosso di McTaggart nasce da una concezione lineare del tempo, coerente con le visioni del mondo creazioniste (come quelle delle religioni monoteiste) e con la visione scientifica del mondo: quando l’universo si espande, lascia dietro di sé il suo coefficiente di espansione. Tuttavia, secondo una visione del mondo greca tardo-antica, che si basava sulla concezione aristotelica del tempo come misura dell’essere del moto, il cielo, cioè l’universo, non è nel tempo, ma è intatto presente. Non c’è un tempo supplementare che coinvolga l’esistenza del cielo e quindi il cielo rimane immutabile; in parole povere, il cielo non invecchia.
Damaskios, l’ultimo maestro della scuola platonica di Atene (VI secolo d.C.), spiega che il tempo si rivela nel mondo subceleste innanzitutto come causa non della temporalità, così da rimandarci al passato, al presente e al futuro, ma come causa della temporalità, regolando l’esistenza necessariamente prolungata di ogni essere vivente generativo e deperibile. Indipendentemente dal fatto che sia esistito, esista ora o stia per esistere. Ogni essere nato e deperibile realizza gli eventi biologici costitutivi della sua specie sempre nello stesso ordine.
Prendiamo come semplice esempio le antiche Settimane di Ippocrate: le sette settime della vita dell’uomo (bambino, fanciullo, pavone, mite, giovane, minore, anziano, vecchio) sono invariabilmente disposte in quest’ordine e ciascuno di noi, nel completare la realizzazione della specie dell’uomo, passa necessariamente attraverso di esse; salvo l’improbabile caso che si presenti nel tempo epocale, storico, immanente solo nel mondo sub-secolare. L’esistenza estesa di ogni essere generativo, spiega Damaskios, traccia un ciclo (xoreia) di cui solo un punto è presente in ogni momento: quello scandito dall’orbita giornaliera del cielo, cosicché gli eptetempi ippocratici immutabilmente ordinati sono fatti da futuri passati a livello di esistenza individuale. Non esistiamo senza passato e futuro, sostiene il filosofo neoplatonico, ma esistiamo in virtù dell’eterno presente dell’universo.
Pantelis Golitsis, è professore associato di Filosofia antica e medievale, Università Aristotele di Salonicco.
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“Mistero” denota il dogma fondamentale della fede cristiana riguardante l’incomprensibilità di Dio, e attraverso di esso si costruisce una consistente riflessione theologica che concerne la natura incomprensibile del Dio che rivela se stesso nel tempo. Il grande paradosso della theologia cristiana è che essa si muove fra l’incomprensibilità della natura di Dio come Dio trinitario, e la sua conoscibilità attraverso il suo rivelarsi in accordo con la sua medesima e sovrana volontà.
Dio è incomprensibile. Dio è dunque mistero, non perché l’uomo non sia in grado di conoscere Dio, ma perché Dio ha agito in un modo così assoluto e sovrano. Egli acconsente a essere conosciuto, avendoci conosciuti. Di conseguenza, non bisognerebbe mai teorizzare riguardo ai limiti del ragionare umano. La falsa modestia di questo atteggiamento theologico fa slittare l’oggetto centrale della theologia da Dio all’uomo, di modo che invece di fare theologia si scrive intorno ai limiti della ragione umana. Uno dovrebbe dire, piuttosto: Dio è incomprensibile perché ha comunicato se stesso all’uomo, e senza la conoscenza dell’uomo ha ottenuto per lui l’obiettivo più elevato, cioè la conoscenza di Dio nell’uomo. Questa concezione fondamentale conduce l’uomo, in quanto theologo, non all’agnosticismo, non alla contemplazione speculativa, e neppure a una theologia visionaria, bensì a un apprezzamento realmente biblico e umile del mistero che è rischiarato dalla rivelazione in Cristo Gesù. Perciò “mistero”, come categoria di riflessione theologica, non dovrebbe indurci né al misticismo né all’esistenzialismo. Essa mantiene l’infinita distanza fra natura di Dio e ragione dell’uomo, e al tempo stesso afferma la comunione fra Dio e l’uomo, senza fusione.
Problemi filosofici del concetto di tempo
di Manos Danezis
Lo scetticismo sul concetto e sulla natura del tempo è sempre stato alla base di ogni ricerca filosofica. Il problema, tuttavia, è che questo sforzo si scontra con tre difficoltà fondamentali:
1. Non possiamo studiare il tempo tenendoci a distanza da esso, come siamo abituati a fare quando studiamo qualsiasi altro oggetto. L’Universo, e per estensione il tempo, non è qualcosa di esterno a noi, ma qualcosa che ci circonda. Il tempo, come lo spazio, non ha un recinto esterno per l’uomo, ma coesiste con la sua stessa esistenza. Allo stesso modo l’uomo non è parte dello spazio-tempo, essendo per sua natura unificato e non diviso, ma identificato con esso. Quindi la natura umana è, in termini di misurazione, eterna senza tempo e onnipresente, anche se questo non è comprensibile attraverso i nostri sensi selettivamente sviluppati.
2. Un secondo problema è che non possiamo percepire il tempo attraverso i nostri sensi, poiché non è qualcosa di tangibile. Pensiamo che la parola francese maintenant (ora) esprima un punto concreto e tangibile, ma in realtà cambia continuamente la sua posizione nel continuum spazio-temporale. Questa parola francese deriva dal verbo maintenir (tenir en main = tenere in mano) ed esprime al meglio il nostro terribile errore che porta all’incapacità di comprendere la natura del tempo. Questo errore consiste nel fatto che invece di vivere il tempo, come dovremmo, cerchiamo di misurarne il “fantasma”, cioè la sua proiezione nel e sul mondo tridimensionale che possiamo percepire, attraverso intersezioni ipotetiche e arbitrarie che creiamo nella sua natura. E quel che è peggio, identifichiamo queste sezioni ipotetiche e arbitrarie dell’idolo del tempo, che non esprimono nulla di reale dal punto di vista fisico, ma sono mere costruzioni mentali dei nostri sensi, con il concetto e la natura stessa del tempo, che come quarta dimensione non percepibile è adimensionale, unitario e infinito.
3. Si tratta cioè di un fatto non sensibile, ma non visibile. È particolarmente interessante ricordare che nella Fisica moderna, in alcune strane circostanze, il tempo può essere misurato in centimetri e le tre dimensioni spaziali, ossia lunghezza, larghezza e altezza, in secondi di tempo. In questo caso è stata avanzata la tesi teorica che le dimensioni spaziali misurate in unità di tempo possono costituire un peculiare tempo tridimensionale, mentre allo stesso tempo la dimensione del tempo, misurata in unità di lunghezza, può costituire il concetto di un peculiare spazio unidimensionale. Nella Relatività Speciale, le condizioni fisiche sviluppate “costrinsero” Einstein ad abolire i concetti di spazio e tempo, fino ad allora completamente separati, e a sostituirli con una nuova entità unificata, quella dello spazio-tempo, in cui tempo e spazio diventano concetti inseparabili l’uno dall’altro. Sulla base di questo insieme di nuove idee scientifiche sulla natura del tempo, lo stesso Einstein scrisse nella sua corrispondenza personale (lettera del 21/3/55 alla famiglia dell’amico Michel Beso dopo la sua morte). Naturalmente, tutto ciò trova ancora l’opposizione di molti fisici, che negano anche il semplice pensiero che ciò che misuriamo come tempo, l’esperienza primaria per loro di ogni vita umana, sia un’illusione umana. L’opposizione, in altre parole, è filosofica, non scientifica.
Il punto di vista di questi fisici è che o il tempo misurato scorre davvero, come inteso dagli esseri umani, oppure il tempo è qualcosa che gli esseri umani non sono in grado di percepire, e quindi non può essere incorporato nel loro sistema cognitivo. Uno dei sostenitori di questa visione è Ilya Prigogine, mentre Henri Bergson formula la tesi: “Il tempo è un’invenzione, altrimenti non è nulla”.
Manos Danezis, è un astrofisico, membro del Collegio dei professori emeriti dell’Università Nazionale e Capodistriana di Atene.
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Fonte: kathimerini.gr
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